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Manifesto per polverizzati

Questo manto di stelle steso per i sogni dei poeti e per le illusioni dei credenti, massa infinita di corpi celesti, milioni di menzogne ferme, milioni di distanze e di masse. La quiete di uno sguardo microscopico, la testa piegata mentre il planetario apre ai nervi infiammati.

Queste stupide opinioni condivise, queste cazzo di dichiarazioni contrastate. Chorus e sax. Testa bassa e camminare, anche se si possiedono solo gambe che si spezzano su ogni minima asperità del pensiero. Litania per spezzati, appunto, la pelle del viso che si stacca massacrata dalla cancrena, cambiando, sperando, cercando un modo per essere vivi da morti, un altro esperimento per morire respirando con passione mal riposta.

La rassegnazione che piaga le mani, ossa tritate nel movimento ripetuto del muro sulla fronte. Aspettiamo speranze, attendiamo dissensi e verità che ci facciano di nuovo mozzare la testa. Inutile e presuntuoso gingillo decapitato che può scivolare nel rollio del firmae-mente. E vederla rotolare via mentre le lacrime strappano gli occhi e la saliva brucia la lingua. Vibrato soffuso, stop and go verso un finale esasperato che superi la finitezza degli strumenti. Confessione da esasperati, appunto, con le tossine ossessionate dalla caducità che eviscera, smembrando l’essenza, svuotando di senso giornate sempre uguali e uguaglianze sempre più derise. Scheletro in disfacimento mentre crolla la cassa toracica in domande senza risposta, in affermazioni ovvie a cui si riesce solo ad opporre una seccata intransigenza e un borioso senso di fastidio. Rotule che si sfaldano sotto i colpi di banalità invivibili, moncherini ricolmi di pus con cui scacciare i parassiti del pensiero morto.

Odii borghesi che scorticano i pneumi, ulcerando il derma, facendo esplodere i capillari, devastando l’elasticità degli alveoli, con sfoglie carbonizzate che lasciano una traccia scura dietro passi frantumati. Tracce per stranieri crudeli, nemici secolari convinti a tradire nobili cause (perse) per sciocchezze transeunti. Voce esasperata per urlare una mente impazzita, grida per chiamare il vuoto che frantuma i denti come le mollezze della nostalgia, sillabe che urticano il palato, parole come una setticemia generalizzata che lacera il pallore dell’indifferenza di una pelle ammorbata dal ripetersi delle infezioni e dei pensieri.

Un corpo che arde del desiderio di sparizione, l’artificio della sparizione, appunto, come l’ossigeno che manca – asfissia – , enzimi che scappano, fluidi che sgorgano. Sangue troppo liquido, feci troppo solide, blocchi di organi contro la vanità di un intelletto che pretende troppo, vendette di cellule contro altre cellule e di desideri sui principi. Tagli verticali nelle vene e orizzontali sulle arterie, autopsia a vivo.

Il peso che costerna, questa massa in putrefazione che schiaccia più della gravità delle persone vuote, leggere come fantasmi, labili come membrane pulsanti in attesa di sangue che scorre copioso su tutte le volte che i pensieri inciampano nelle frattaglie di un corpo mistico in decomposizione. Tensione, basso, solo, in un crescente e insopportabile parossismo.

Informe, la perdita della forma, ogni pezzo del corpo si sfalda, preso a calci dai rimpianti, squartato da lancette acuminate, trafitto da carnefici costretti dalla storia ad aiutare martiri ipocriti. Il cielo stellato è così distante da poter far scomparire ogni corpo che prova a tendere a esso, la vocazione verso l’altro che costringe al basso. Un altro giorno con i femori fratturati, un altra notte con pupille che sanguinano. L’integrità è perduta in questo dissolversi, atomi impazziti nell’accettazione, trombe di Falloppio che esigono strilli isterici, mentre il corpo squartato viene sparpagliato nel deserto, lasciato all’accanimento degli avvoltoi per poi essere spellato, disossato, evirato, insultato, infangato, violato, bruciato, annegato, appeso, mutilato, devastato, esposto in mille gogne e infine, finalmente, polverizzato. Sezione orchestrale, violini, crescendo finale.

Sì polvere.

Per onorare la sparizione, per essere personale altare di inutile sacrificio, reliquiario di coerenza. Un inevitabile pulviscolo per poter, alla fine della stessa, solita, vecchia, squallida storia, aspirare a ricongiungersi allo spazio infinito, per essere stella e non occhio affascinato.

Indice di leggibilità: 45

  1. 22 marzo 2011 alle 23:21

    Pezzo musicale grandioso.
    “Chi ha il cuore vuoto, ha la bocca che trabocca”
    K. Kraus
    In questo tempo nemmeno il vuoto è pace, solo rumore infernale tra sensi privi di significato. Eppure c’è stata un’origine, un punto dove collocavamo le cose al posto giusto, peccato sia durata poco, l’apprendimento è morto a favore del caos e delle barbarie generali.

  2. 23 marzo 2011 alle 08:09

    Vi è il corpo mistico della nazione tronfio dei colori della sua bandiera, stracolmo di valori identitari reazionari, pieno di un nulla ben adornato. Vi è il corpo atomizzato che svende il corpo naturale del pianeta, che marcia con ampie falcate geometriche di pelle nera lucida. Vi è l’agile corpo guerresco della opinione pubblica occidentale che sgancia civltà dall’alto.
    Poi, residualmente, vi sono i singoli, i loro corpi. Straziati o annoiati. Tranciati da dittatori amici, da democrazie ripensanti o da investimenti energetici. Corpi catodici che hanno solo due dimensioni e a cui non possiamo partecipare, corpi che solo non vogliamo vedere sbarcare.
    In mezzo c’è il corpo traditore del linguaggio che vende al corpo delle società progredite la sostanza corporea mitica dell’Uomo che non c’è affinchè i corpi ottusi possano dormire quietamente le notti per poter – i più fortunati – produrre benessere l’indomani.
    Questo mio corpo, immerso in quel vuoto, in quel rumore, in coordinate che non riconosco, questo corpo assordato e accecato è solo ricettacolo di malattia e nevrosi, scrigno cellullare di barbarie collettiva. Un orpello terreo, prigione di un’antica volontà celeste.

  1. 14 aprile 2012 alle 16:29

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