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Lenti franano i giorni

Herbert Matter, Stroboscopic, Multiple-exposure of Rotating Drum

Sono proprio quei giorni che ti mancheranno di più. Quelle ore che hai scordato, quelle sere che hai rimosso, quelle attese che hai cancellato. Sono le rimozioni che danno un senso a quello che è rimasto, sono le negazioni che riempiono di significato le affermazioni di oggi. Sono suoni che non sentirai più, scoperte a cui rinunci, musica che non scoprirai, letture che non ti cambieranno. Non poteva andare diversamente perchè la tua memoria è labile, come il cuore, come le promesse. E le cose che pensavi necessarie non lo sono, e non ci sono scorciatoie, non ci sono uscite di sicurezza.

Ora come allora, solo di meno,  più sfocato, più lento, più allentato, più annacquato. La fiera non sbrana più, l’assenza non strappa nulla. Il battito è normalizzato, i squarci ricomposti, le ferite sanate. Non sai se è bene ma sai che è inevitabile. Pensi che forse è l’ultimo pensiero che dovresti avere eppure è lì. Come un eclissi che non può illuminare ma che non puoi non farsi notare in quanto porta con sé il buio.

Strano come il passato ti appaia come il prodotto migliore di una fabbrica ormai dismessa, un rifugio sempre più fragile perchè accerchiato nel saccheggio. Svuotato di senso e di pathos, arreso alle evidenze. Come un assedio che si concluda perchè gli assedianti hanno dimenticato il casus belli e di conseguenza nessun poeta fare un’epica sulle gesta dei guerrieri ormai lontane e dissanguate di senso.

Ti appare così dura accettare la dissolvenza e invece è solo amaro, come comprendere che sei solo uno dei tanti a cui piace illudersi e farsi affascinare dalle cose impossibili (“those nights would never end, those nights would never end“), a credere nella corporeità delle ombre, a giurare sull’eternità della poesia. Una dissipata economia sentimentale ti attornia minacciosa come i viaggiatori che osservano ammirati un burrone, affascinati da quella terrea, enorme mancanza osservando  rapiti quello che è, infine, solo vuoto.

Così si rimane storditi dalla violenza trattenuta che fa dell’oblio un amabile tiranno, una frana animale tra istinti di sopravvivenza analgesici e una patria troppo dolorosa per aspirare di tornarvi. Ma desiderare è un verbo infinito.

  1. gio
    11 luglio 2010 alle 15:07

    Il desiderio è un motore subdolo. A volte sembra inceppato, in realtà… ci frega sempre.

  2. 12 luglio 2010 alle 12:30

    -sono le negazioni che riempiono di significato le affermazioni di oggi.
    questo mi scompone un pò. questo è.
    L’ignoto ha sempre attirato i viaggiatori.. forse perché il vuoto ognuno può riempirlo a piacimento. Quasi l’ennesimo egoismo, bonariamente un’evasione.

  3. vania
    14 luglio 2010 alle 20:32

    …allora…ho appena visto …specchio…ti ho letto …e siamo classe:)
    …ho fatto anch’io il test…direi 99%…corretto.
    Ciaooo Vania

  4. vania
    17 luglio 2010 alle 10:18

    Caro Marco…mi dispiace dirti…che non mi ha destabilizzato…purtroppo o/e per fortuna…mi conosco abbastanza bene 🙂
    …è invece interessante…e forse…(anzi senza forse)… in questo caso destabilizzante…. sapere che attraverso delle semplici domande e risposte…chiunque può venire a conoscenza di quello che “Tu” sei.
    ciao Vania

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