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Di morte, di assenza e di altre certezze remote

3 marzo 2009. Trieste si presenta strana per chi la conosce. La città di solito è limpida di vento mentre oggi è avvolta da una cappa plumbea di foschia. Una nebbiolina oleosa, depositata sotto un cielo nascosto.
È un clima di contagio, l’aria ferma sembra ammorbare.

Perfetta per accudire i germi di una epidemia. Inspiro umidità, espiro vaporizzato. Così diffonderò il mio veleno.
Un clima denso, avvolgente soffocante. In altre occasioni mi abbandonerei a considerazioni ossianiche ma oggi è una giornata di merda. Il “clima perfetto per un funerale” mi viene da pensare.
Un altro, di nuovo. Ore 11 il cimitero di S. Anna.
Mai conosciuto il morto, ma si presenzia per rispetto dei vivi.
Dicono così, si va ai funerali per i vivi ma io mi confondo sempre, chi sarebbero?
Non sopporto andarci, non sopporto il dolore altrui: quello vero e quello recitato.
Nel cimitero tra vivi e morti mi sento più in sintonia con i morti, con la muta condanna di chi ha tacitato il dolore. I vivi non dovrebbero entrare nei cimiteri, sono un disturbo alla quiete, un interferenza al senso del luogo.
In una società individualizzata il dolore dovrebbe rientrare nella sfera privata. Sarebbe un atto di pietà contro quello che è solo uno spettacolo estemporaneo, malvissuto e osceno.
Il funerale aveva un senso come in una comunità reale con cui condividere il dolore ma oggi non mi pare più averne. Le cerimonie sembrano ritualità stanche tramandate per routine.

Il feretro viene portato nella chiesa grande quindi capisco che mi toccherà la funzione lunga.
A sinistra della porta c’è una lapide commemorativa con scritto “chiesa… eretta grazie alla generosa offerta della famiglia XYZ”: vorrei fuggire via. Lontano.
Invece mi tocca rimanere, almeno mezzora. Non credo, quindi non mi distraggo a eseguire il rito, mi concentro sulle parole. Provo a impegnarmi ma il pulpito delude. Non guardo, guardo a terra o guardo il vuoto. Ma ascolto e i concetti mi paiono deludenti e io ho i crampi allo stomaco. Guardo in giro e non colgo un effetto anodino. Di quello che ho sentito ricordo solo qualcosa sul fatto che il sacrificio implica in qualche modo “la gloria”. Mi colpisce profondamente il fatto che non venga mai nominata. La morte. Scomparsa.
Finisce la funzione, esce il feretro. Osservo gli addetti che caricano la bara sulla macchina. Per loro è un lavoro automatico e la morte è un concetto assorbito. Non devono neanche più impostare una faccia coinvolta, loro ormai ne sono assolti. Loro hanno assorbito la morte, un altro modo per eliminarla.

Eppure la morte è ingombrante. Lo è talmente che seguendo il feretro verso la sua ultima dimora camminiamo per 15 minuti. Un corteo silente. Seguiamo i viali principali quelli sui quali si affacciano le tombe dei ricchi. Tombe che hanno complessi scultorei. Angeli oranti, Cristi doloranti, Madonne piangenti. Mi riempio gli occhi di questi marmi che esprimono un inconsapevole decadenza morale. Rifletto su questa insistita apologia del dolore così contrastante con le promesse consolatorie. Cammino, guardo le statue e mi ritrovo a pensare: mors omnia solvit. Il brocardo giuridico che avevo studiato anni fa e mi viene da pensare che, all’opposto, la vita lega tutto, senza senso, senza memoria, senza consapevolezza, ma lega tutto.
Prima che si concluda questa passeggiata gotica mi torno in testa un verso di De Andrè: “quando scadrà l’affitto di questo corpo idiota” e mi sembra che i crampi si attenuano. Poi provo a indovinare i pensieri di quelli che con me seguono la bara e i crampi si acuiscono.

Arriviamo al luogo della tumulazione. Nel culmine del dolore ho visto la morte agitarsi per reclamare il suo ruolo da protagonista. Vince lei anche se tutti la scansano o la dimenticano e penso si annoi mortalmente alle cerimonie.

Non mi ricordo dove ho sentito che la fanciullezza finisce quando scopriamo che moriremo e ora mi chiedo se far finta di scordarselo renda veramente felici.
E allora (come dice Carotone) ciao mortali.

PS: Se volete un’altra versione della giornata leggete: Il Funerale e la Morte: due tabù da vincere

  1. 3 marzo 2009 alle 19:24

    Insieme, Saba e Prog, nella vita e nella morte…< HREF="http://sababo.blogspot.com/2009/03/il-funerale-e-la-morte-due-tabu-da.html" REL="nofollow">Il Funerale e la morte: due tabù da vincere<>ci vediamo domani… forse!

  2. 3 marzo 2009 alle 19:29

    ciao a te mortale Prog!Una descrizione impeccabile di un evento che comunque ci fa paura…

  3. 3 marzo 2009 alle 19:30

    Come in Beckett, dunque: “Siete venuti al mondo? Non c’è rimedio”. Parola di Hamm.

  4. 3 marzo 2009 alle 20:11

    Ecco perchè preferisco essere cremato … preferibilmente con dispersione delle ceneri, o con un loro riutilizzo concreto, magari come mangime per gli animali.

  5. 3 marzo 2009 alle 20:14

    Tutto scritto così bene…io direi ..perchè avere paura della morte..non sappiamo cosa ci capiterà domani…se viviamo giorno per giorno con sentimento Mai avere paura di niente… Un kiss rumoroso e vitale Vania

  6. 3 marzo 2009 alle 20:18

    Giuste, sensate, pensate le tue parole. La morte va considerata un evento naturale, come la vita. Una livella, come diceva Toto’. Ci rende tutti uguali, nella sofferenza, nella assenza. Tutto il resto sono inutili parole. Con gli anni la morte assume sempre piu’ l’aspetto di evento inevitabile. E non mi sconvolge piu’ tanto. Ma parlo per me. Non sarei cosi’ razionale e distaccata se dovesse riguardare i miei cari.Ragazzi….non andate più insieme ai funerali….che diventate pericolosi! Con simpatia…ovviamente!!!!

  7. 3 marzo 2009 alle 21:07

    la morte ingombra perchè c’è sempre,ovunque ,a qualsisasi età non si leva mai di mezzo, a volte ti ritrovi a seguirla e non sai nemmeno perchè…un abbraccio…

  8. 3 marzo 2009 alle 21:16

    Quando vado al cimitero non provo tristezza nel vero senso della parola,penso che dopo la morte ci sia sempre qualcosa,o almeno mi illudo che sia cosi,sennò che senso avrebbe vivere???

  9. 3 marzo 2009 alle 21:16

    Cerchiamo continuamente di scordarla la morte, si evita di parlarne e possibilmente di pensarci,qualche volta ci tocca più da vicino e non ci piace, ma non è solo il rimpianto per chi è morto e anche prendere coscienza della nostra caducità.Qualcuno ha detto:l’unica morte a cui non sappiamo rassegnarci è la nostra.

  10. 3 marzo 2009 alle 21:19

    Domenica sono andata al cimitero di Prima Porta, a Roma.Lì si entra con l’automobile e circolano gli autobus, ci sono le strade che hanno nomi tipo “Viale dei cipressi” e ci sono pure le rotatorie; se ci vai a piedi è altamente probabile che ti smarrisci dopo pochi minuti ma anche in macchina non è certo che riuscirai ad imboccare l’uscita.Nell’andare sono venuta a sapere che l’altra settimana all’altezza di uno stop c’è stato un incidente ed è arrivata l’ambulanza.Nel mentre si stava fermi in coda per entrare questo racconto mi ha suscitato una silenziosa ilarità che cercava di stemperare un disagio profondo, una sensazione di alienità, uno smarrimento di se stessi, il pensiero di vivere in una società che ci ha rubato anche la morte trasformandola in catena di montaggio, cimiteri come città, celle e cellette, loculi su loculi.Ed ho pensato alla mia India, ai più poveri dei poveri che sulle rive del Gange – la grande Madre Ganga – aspettano che le pire si spengano.

  11. 3 marzo 2009 alle 21:28

    Bisognerebbe andare più spesso nei cimiteri per comprendere che occorre smetterla di vivere questa vita virtuale e calarci nell’essenza della vita reale. Un saluto

  12. 3 marzo 2009 alle 22:30

    sono stato sabato ad un funerale e ho avuto sensazioni simili. C’era pure un prete anziano che biascicava le parole, non si capiva nulla, una tristezza…

  13. 3 marzo 2009 alle 22:49

    Già, la morte negata: del resto, la vita nell’aldilà non è ancora la negazione che con la morte finisca davvero tutto? Anche in un commento, si pretende che se finissimo con la morte, saremmo vissuti invano, quando è proprio la finitezza della vita che ne costituisce il più autentico significato. Per me però, vale quello che è stato detto: mai sono nato, e mai morirò, perchè non esisto come individuo, ma sono solo una temporanea ondulazione in un tutto altrimenti uguale a sè stesso.

  14. 3 marzo 2009 alle 23:13

    Lo sai che nelle catacombe i simboli che vi sono raffigurati non parlano di morte?Perchè i primi cristiani credevano davvero nella resurrezione.

  15. 4 marzo 2009 alle 08:59

    ” I vivi non dovrebbero entrare nei cimiteri, sono un disturbo alla quiete, un interferenza al senso del luogo.In una società individualizzata il dolore dovrebbe rientrare nella sfera privata. Sarebbe un atto di pietà contro quello che è solo uno spettacolo estemporaneo, malvissuto e osceno.Il funerale aveva un senso come in una comunità reale con cui condividere il dolore ma oggi non mi pare più averne. Le cerimonie sembrano ritualità stanche tramandate per routine.”Condivido questa riflessione. Io ho sempre odiato andare ai funerali: il dolore è privato e basta.Ieri mattina ero in macchina, ferma ad aspettare un corteo funebre che davanti a me stava andando al cimitero. Persone che chiaccheravano, ridevano… Mi sono chiesta:Che senso ha? Qual’è la ragione della loro presenza lì? Sono presenze di facciata, inutili…oggi la nostra società conta soprattutto l’apparenza…

  16. 4 marzo 2009 alle 10:51

    L’unico grande tabù della nostra società è la morte. Non se può parlare, ma anche pensarci è tremendo,il fatto è che è sempre lì, presente.Ti ricordi Prog?“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi…” ?Ciao, ho voglia di sole.Buona giornata!

  17. 5 marzo 2009 alle 02:16

    La morte, ingombrante soprattutto per chi resta… stranamente la esorcizzi per te stesso, ma mai per chi resta… la tua preoccupazione va alla proiezione del tuo dolore, quello che hai provato tu perdendo persone care… sulle persone che reputi probabili vittime della sofferenza generata dalla tua di morte… ragionamento contorto… E’ questo che la rende ingombrante.. spesso… Altrimenti, forse, sarebbe solo liberatoria… o comunque, “naturale”… un fisiologico “continuum” della vita…

  18. 5 marzo 2009 alle 13:54

    E alloraaaaaaa, lo vogliamo togliere sto post sulla MORTE ??? Mi tocco le palle ( che non ho) ogni volta che vengo a vedere se hai scritto qualcosa di nuovo!

  19. 5 marzo 2009 alle 15:59

    La morte è un argomento tabù per molti, a me spaventa e affascina.E’ incredibile quante cose ci inventiamo come scaramanzia contro la signora vestita di nero, la religione è uno di questi oggetti usati per rassicurarci con la promessa di immortalità.gio

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